SCI CLUB: MALEDETTA PASSIONE!
La Federazione Italiana Sport Invernali deve le sue origini agli Sci Club senza i quali non esisterebbe probabilmente nemmeno la sede di via Piranesi e nemmeno lo sci organizzato. Non è la prima volta che parliamo delle società, ma lo facciamo perché sono sempre più a rischio estinzione. Questo pericolo appare ogni giorno più chiaro all’orizzonte, in un momento in cui l’aggregazione fa decisamente meglio dell’isolamento. In questo vortice di difficoltà ci sono anche i Gruppi Sportivi Militari cui appartengono gli atleti delle squadre nazionali. Ma fino a quando, visto che i posti disponibili per indossare la divisa di atleta sono sempre meno o addirittura definitivamente chiusi? Una piccola virata tanto per meglio comprendere: l’Aeronautica un tempo era molto presente nel bob. C’è chi la rimpiange. C’è chi osserva che se non fosse mai entrata nel bob, la storia di questa specialità non avrebbe subito i capricci dei Generali che l’hanno dimenticata facendola diventare una cenerentola. Nello sci alpino tutto ha inizio dalla Coppa Italia, in pratica un campionato militare. Uno sguardo veloce al panorama internazionale non chiarisce le cose. In Giappone lo sci ha avuto una scintilla militare alle origini, si è poi sviluppato in forma autonoma. In Canada lo sci è cresciuto con l’appoggio militare, al contrario degli Stati Uniti. La Francia deve il suo vecchio splendore (1963-1968) al soldato Honoré Bonnet. Il Quartier Generale della “Grandeur” era una caserma di Chamonix. L’Austria non ha grandi rapporti con le forze armate e neppure la Svizzera che però più dell’Austria si è servita a volte e con successo di tecnici militari. In Scandinavia i libri ricordano antiche guerre tra eserciti che avevano gli sci ai piedi ma questi documenti non dimostrano molto. La Norvegia, mamma dello sci moderno, ha avuto a lungo dirigenti militari, ma operanti in un’organizzazione di base creata e mandata avanti da società sportive. Veniamo in Italia: ora che di fatto siamo nell’era del professionismo, la sicurezza dello stipendio è meno significativa di un tempo, quando avere il privilegio di far parte di un Gruppo Sportivo dava anche la possibilità, in un certo qual modo, di schivare il servizio militare. Quel servizio che paradossalmente le ragazze si rallegravano di poter fare, considerando che non ci sarebbe stato un altro modo di restare nello sport, a parte le non povere. Alla Fisi sono aggrappati circa 1.300 sci club che producono circa 85 mila tesserati. In linea di massima lo Sci Club è sempre stato squattrinato, creato e finanziato da gente divorata dalla passione, che vince la povertà ma non estingue i debiti. Appena uno sci club si affaccia all’agonismo vive i problemi dell’allenatore (in genere più caro di un allenatore della Squadra Nazionale), dei materiali e del pulmino. Diversi Sci Club che hanno inventato il turismo invernale non esistono più. La squadra degli Universitari che ha avuto un passato superbo, è scomparsa da tempo, se non in occasione delle Universiadi quando i ragazzi vengono chiamati all’ultimo momento buono in base ai risultati appena ottenuti. Gli aiuti federali esistono, però sono premi. Non finanziamenti (che il Coni da tempo ha smesso di erogare). La differenza non è certo una sfumatura. I premi sono piccoli contributi che non corrispondono alle fatiche delle società, impegnate nella ricerca e nell’allevamento dei piccoli talenti. I gruppi Sportivi Militari sono stati e sono istituzioni benemerite. Fino a ieri la cattura dello sciatore promettente avveniva attraverso una maglia di sentinelle che facevano buona guardia appena c’era una garetta interessante. L’operazione sembrava davvero facile. Le premesse erano seducenti. Un tempo era una rarità assoluta per gli Sci Club riuscirebbe a trattenere il loro gioiello, quand’anche avessero avuto il potere di sottrarlo al servizio militare. Oggi è il contrario, ma le porte, non quelle del gigante o dello slalom, sono praticamente serrate. A maggior ragione gli Sci Club rivendicano il diritto di esistere (indispensabile) e che venga riconosciuta con contributi importanti la funzione insostituibile che hanno nella società e nello sport. E togliere il costo dell’assicurazione della tessera per rendere l’iscrizione meno pesante, non sembra sufficiente per tornare al glorioso numero dei 200 mila soci Fisi. La piramide che svetta nel vertice azzurro è un poco da ritoccare alla base con nuove attenzioni. Chiediamoci che cosa accadrebbe se gli Sci Club chiudessero bottega. Se il volontariato cessasse. Se si scoprisse che la povertà ha sopraffatto l’amore e che lo sci non è più una bella favola. Già adesso diversi Sci Club non si iscrivono alla Fisi, anche se malvolentieri. E’ quasi sempre il motivo economico che decide. Gli Sci Club poveri sono tanti e nessuno può farsi un’idea di come sia dura mandare avanti uno Sci Club con pochi soldi se non prova. E’ accettata anche la sponsorizzazione del tabaccaio di quartiere. In questo momento dimesso, con gli sponsor fuggiti dallo sport, anche un piccolo aiuto è diventato indispensabile. In questo senso, tutta la neve caduta come manna quest’inverno, per le società tende al nero. Il campionato sociale costa, chiavi in mano, dai 1.200 ai 1.500 euro. E’ irrinunciabile se non può essere sostituito da una festa annuale. Qualcosa lo Sci Club deve offrire al proprio socio se non vuole perderlo. La sede è praticamente indispensabile. Spesso è in un bar o nello scantinato di un bar, all’oratorio. Un tempo le cosiddette “consulte sportive comunali” davano una mano, adesso basta. Organizzare una gita costa troppo e con pochi soci i pullman non partono più. Le località non aiutano nemmeno perché non sopportano più il caos dei pullman. Li tengono lontani salvo poi cercare all’ultimo momento gli inglesi che non pagano niente (a parte le birre). Gli Sci Club sono la storia, il presente e il futuro dello sci. Ogni tanto è bene ricordarlo. Anzi, facciamo una cosa ancora più saggia, non scordiamocelo mai!